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La Consulta riscrive la regola dell’esenzione IMU per l’abitazione, nessun rilievo ai familiari

La Consulta riscrive la regola dell’esenzione IMU per l’abitazione, nessun rilievo ai familiari

Deve essere considerata abitazione principale, ai fini IMU, l’unità immobiliare abitativa in cui il soggetto passivo d’imposta risiede anagraficamente e dimora abitualmente indipendentemente dall’eventuale diverso luogo di residenza e dimora del coniuge e degli altri familiari. Pertanto, ove i coniugi abbiano stabilito residenza anagrafica in immobili differenti, sul medesimo territorio comunale ovvero in comuni differenti, ogni immobile potrà scontare l’esenzione.

È quanto emerge dalla sentenza n. 209 depositata ieri dalla Corte Costituzionale con cui è stata definitivamente decretata l’illegittimità costituzionale dell’articolo 13, comma 2, del D.L. n. 201/2011, relativo alla previgente disciplina IMU, nonché del vigente articolo 1, comma 741, lett. b), della legge n. 160/2019 modificato dall’articolo 5-decies del D.L. n. 146/2021, nella parte in cui definiscono abitazione principale l’immobile «nel quale il possessore e i componenti del suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente» e nella parte in cui prevedono che, in caso di componenti della famiglia residenti in diversi immobili, possa essere invocata soltanto un’agevolazione.

La questione di legittimità costituzionale era stata posta dall’ex Commissione Tributaria Provinciale di Napoli e fatta propria dalla Consulta che, sulla base delle ragioni espresse nell’ordinanza n. 94 del 12 aprile scorso, aveva deciso di sollevare innanzi a sé la questione di costituzionalità della regola stabilita dalle norme in argomento nella parte in cui, al contrario di quanto previsto per l’ipotesi in cui le diverse residenze ricadessero nel medesimo territorio comunale, non prevedevano almeno una agevolazione in caso di familiari residenti in immobili ubicati in diversi comuni.

Il dato letterale aveva determinato l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale, in questa ipotesi, nel silenzio della legge, il trattamento tributario agevolato dovesse venir meno per tutte le abitazioni possedute dai componenti della famiglia poiché non soddisfatto il requisito della comune residenza anagrafica e dimora abituale dell’intero nucleo.

Ma la Consulta, chiamata ad esprimersi in relazione al rispetto dei principi costituzionali di cui agli articoli 3, 31 e 53 della Costituzione, è andata oltre rispetto al dubbio dei giudici tributari partenopei superando le ottimistiche aspettative che già nei mesi scorsi, dal lato del contribuente, avevamo prospettato su queste pagine.

In relazione all’articolo 3 della nostra Costituzione, che reca i principi fondamentali di uguaglianza dei cittadini, le norme “incriminate” devono considerarsi costituzionalmente illegittime poiché non deve essere riservato un trattamento differente ai possessori degli immobili in quanto tali (ad esempio un single o due conviventi di mero fatto) e ai possessori degli stessi in riferimento al nucleo familiare. Soprattutto tenendo conto dell’evoluzione sociale della famiglia, quando, come spesso accade nell’attuale contesto, effettive esigenze comportano la fissazione di differenti residenze anagrafiche e dimore abituali da parte dei componenti del nucleo familiare.

Allo stesso modo, le disposizioni al vaglio della Consulta, non guardando al solo soggetto passivo d’imposta, ma al suo intero nucleo familiare, minano il principio della concorrenza alla spesa pubblica in base alla capacità contributiva sancito dall’articolo 53. Soprattutto alla luce della circostanza che l’IMU riveste la natura di imposta reale e non ricade nell’ambito delle imposte personali, come quelle sui redditi.

Inoltre, le disposizioni analizzate sono costituzionalmente illegittime poiché in contrasto con i principi dell’articolo 31 della Carta Costituzionale non agevolando con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, ma anzi comportando per i nuclei familiari un trattamento deteriore rispetto a quello delle persone singole e delle convivenze di mero fatto. Trattamento che si traduce nel riconoscimento del diritto all’esenzione, o alla doppia esenzione, soltanto nel caso di «frattura del rapporto di convivenza tra i coniugi» e conseguente «disgregazione del nucleo familiare».

Alla luce della illegittimità costituzionale sancita dalla sentenza n. 209/2022 di ieri, il soggetto passivo IMU potrà fruire del trattamento agevolato per l’immobile che costituisce la sua residenza anagrafica e la sua dimora abituate non dovendosi più curare del luogo di residenza e dimora dei suoi familiari.

La Consulta ha precisato che le disposizioni costituzionalmente illegittime non possono neanche essere giustificate da un intento antielusivo. E ciò non solo perché il rischio elusione esiste anche per i singoli o per i conviventi di fatto, ma anche perché «va precisato che i comuni dispongono di efficaci strumenti per controllare la veridicità delle dichiarazioni, tra cui, in base a quanto previsto dall’art. 2, comma 10, lettera c), punto 2, del d.lgs. n. 23 del 2011, anche l’accesso ai dati relativi alla somministrazione di energia elettrica, di servizi idrici e del gas relativi agli immobili ubicati nel proprio territorio; elementi dai quali si può riscontrare l’esistenza o meno di una dimora abituale». Tale affermazione è coerente con il comma 5-bis dell’articolo 7 del D. Lgs. n. 546/1992 che la recente riforma della Giustizia Tributaria ha formulato per investire la pubblica amministrazione dell’onere di provare in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato. I comuni, pertanto, dovranno essere prudenti e precisi nei controlli.

Per i contenziosi pendenti non potrà che prendersi atto delle statuizioni della Consulta. Ragione per la quale si è rivelato opportuno il consiglio di impugnare gli avvisi di accertamento aventi ad oggetto la fattispecie in questione al fine di non renderli definitivi (si veda Accertamenti IMU coniugi con doppia residenza, quello che potrebbe convenire del 28 luglio 2022). Per i periodi non accertati, o per quelli in cui siano state pronunciate sentenze non ancora passate in giudicato, si dovrà procedere con le richieste di rimborso.

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